Il racconto fotografico, della mostra dedicata a Claude Monet, tenuta a Palazzo Ducale di Genova nella sala del Munizioniere, dal 11 febbraio al 22 maggio 2022.
Con oltre 50 opere provenienti dal Musée Marmottan di Parigi.



Claude Monet si può definire il padre dell’Impressionismo, e dal suo dipinto Impressione, sole nascente (1872 olio su tela) che nasce il nome del movimento impressionista. Da un esame di questa tela si nota che non vi è nessuna traccia di un disegno preparatorio, il colore è steso direttamente sulla tela. Monet non vuole descrivere la realtà, ma piuttosto cogliere l’impressione di un attimo. Non fu subito apprezzato per questo tutt’altro, nell’aprile del 1874 nella mostra in cui era esposto il succitato dipinto, il giornalista Louis Leroy, si espresse così:


«”Ah, eccolo, eccolo!” esclamò dinanzi al n. 98. “Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo”. “Impressione, sole nascente”. “Impressione, ne ero sicuro. Ci dev’essere dell’impressione, là dentro.
E che libertà, che disinvoltura nell’esecuzione!
La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto”»


Dovettero passare diversi anni fra insuccessi dolori e viaggi e difficoltà economiche, ma alla fine il suo talento fu riconosciuto e apprezzato definito il principale ispiratore dell’impressionismo.
Monet riversa nella sua arte il suo rapporto contrastante con le regole, non accentando di farsi soffocare dalla disciplina scolastica che reprimeva il suo istinto creativo che lo avrebbe portato nella storia dell’arte internazionale

Monet si distinse per la sua arte En plein air (letteralmente all’aria aperta) è una locuzione in lingua francese che indica un metodo pittorico consistente nel dipingere all’aperto per cogliere le sottili sfumature che la luce genera su ogni particolare. Altro obiettivo di questa tecnica è quello di cogliere la vera essenza delle cose, poiché risulta essere espressione derivante dall’osservazione diretta della realtà.


Nelle sue tele di luce evanescente, Monet ha sempre unito il suo amore per la natura con l’arte e, facendo del pennello una propaggine della sua mano, ha creato e riprodotto giardini ovunque abbia vissuto. Sebbene trascorresse molto del suo tempo a Parigi e viaggiasse molto in Francia e all’estero, Monet preferì la campagna e visse per più di cinquant’anni lungo la Senna, accrescendo sempre più il suo interesse per il giardinaggio, per le aiuole che allietavano le sue prime case ad Argenteuil e per i suoi magnifici giardini a Giverny, che divennero un piacere per gli occhi, un luogo rilassante per contemplare la natura e fonte di ispirazione.


«Il giardinaggio è un’attività che ho imparato nella mia giovinezza quando ero infelice.
Forse devo ai fiori l’essere diventato un pittore»



ammise una volta, consapevole di come il suo interesse per la pittura di paesaggio fu tutt’altro che fortuita.
Sfruttando la tranquilla confluenza del fiume Epte nel territorio di Giverny, infatti, Monet creò nel proprio giardino un piccolo stagno «che delizi gli occhi» e che gli offra buoni «soggetti da dipingere». Lo specchio d’acqua, sovrastato da un suggestivo ponte color verde brillante di chiara ispirazione giapponese, fu poi popolato di peonie, glicini viola e bianchi, bambù, di cotogni, ciliegi ornamentali, ontani, tamerici, agrifogli, frassini, salici piangenti, cespugli di lamponi, agapanthus, lupini, rododendri, azalee e ciuffi di erba della Pampa

Non vi è sorpresa, dunque, se nel 1920 Monet offrì allo Stato francese dodici grandi tele di Ninfee, lunga ciascuna circa quattro metri, le quali verranno sistemate nel 1927 in due sale ovali dell’Orangerie delle 
Tuileries; altre tele di analogo soggetto saranno raccolte nel Musée Marmottan.



«Non dormo più per colpa loro – scrisse il pittore nel 1925 –
di notte sono continuamente ossessionato da ciò che sto cercando di realizzare.
Mi alzo la mattina rotto di fatica, dipingere è così difficile e torturante.
L’autunno scorso ho bruciato sei tele insieme con le foglie morte del giardino. Ce n’è abbastanza per disperarsi. ».



Già affetto da cataratta bilaterale che per la prima volta gli fu diagnosticata nel 1912 questa malattia progressivamente impedì al pittore di percepire i colori con la stessa intensità di prima: l’occhio sinistro perdeva acutezza e il destro reagiva soltanto agli stimoli luminosi.

Nell’estate del 1922, ormai quasi cieco, Monet è costretto a smettere di dipingere. Spinto da Georges Clemenceau, Monet si sottoporrà a intervento di rimozione del cristallino nel gennaio del 1923, all’età di 82 anni. In seguito a tale intervento recuperò gradualmente l’uso dell’occhio destro, ma con alcune conseguenze: l’intervento ridusse la visione opaca dovuta alla cataratta, ma al contempo diminuì anche il ruolo di filtro svolto dal cristallino. Di conseguenza la retina reagiva molto di più alla luce solare e questo lo portava a soffrire di frequenti abbagliamenti e di una visione bluastra. Con l’utilizzo di occhiali con lenti colorate, prescritti dal dottor Jacques Mawas, la sintomatologia si attenuò. Gli occhiali messi a punto da Mawas, infatti, avevano la lente sinistra opaca per evitare la visione doppia, e la destra, corrispondente all’occhio operato, era convessa e leggermente colorata. In questo modo si rettificava la visione dei colori e si attenuava la sensazione di abbagliamento che affliggeva Monet. Tuttavia il proprio modo di dipingere cambiò notevolmente, in special modo in relazione all’utilizzo dei colori stessi.
Egli infatti dipingendo il Viale delle Rose (1920-1922) disse:


“La mia povera vista mi fa vedere tutto annebbiato.
Ma è comunque bello ed è questo che mi sarebbe piaciuto riuscire a rendere”.



La Mostra


“Ma non vorrei morire prima di avere detto tutto quel che avevo da dire; o almeno avere tentato”


Note bibliografiche: “Monet capolavori del musée Marmottan Monet, Parigi” Skira Editore
“Itinerario nell’arte” 4 ed. di Giorgio Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, Zanichelli
https://it.wikipedia.org/wiki/Claude_Monet


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